I segnali che qualcosa si muove ci sono. Prendiamo I-Genius, la società che utilizzando il super computer di Leonardo, e che ha creato il primo large language model italiano.
Di fatto un’intelligenza artificiale in “lingua madre”, in grado di interagire senza bias culturali dovuti all’addestramento in inglese dell’IA. I-Genius, dopo aver lanciato il suo modello, ha avviato un nuovo round di raccolta fondi da 650 milioni di euro. Si sono fatti subito avanti Angel Capital Management ed Eurizon Asset Management che, partecipando al round, hanno portato la valutazione della società italiana fondata da Uljan Sharka ad avere l’etichetta di “unicorno”. C’è però da capire se il caso di I-Genius nel variegato mondo delle start-up e degli investimenti di Venture Capital, sia una rondine che fa primavera oppure un caso isolato. L’ecosistema delle start-up in Italia è in crescita. Alla fine del primo trimestre 2023, il numero di quelle considerate “innovative” iscritte alla sezione speciale del Registro delle Imprese ha raggiunto quota 14.029. Il capitale sociale totale dichiarato è di poco superiore al miliardo di euro (1.071,8 milioni per l’esattezza).
I NUMERI
Nel 2022, gli investimenti in start-up italiane hanno totalizzato oltre 2 miliardi di euro, distribuiti su 323 deals, con 266 di questi che hanno reso pubblico l’ammontare dell’investimento. Il 73 per cento degli investimenti è stato destinato alle fasi iniziali (early, pre-seed e seed), ma queste fasi hanno raccolto solo il 12 per cento del totale del capitale investito. È tanto o è poco? Rispetto al resto d’Europa l’Italia è obiettivamente indietro. Secondo i dati di InnovUp, l’associazione che rappresenta l’ecosistema italiano dell’innovazione, gli investimenti domestici italiani sono un sesto di quelli francesi e un quarto di quelli tedeschi. Nel primo trimestre del 2023 il Regno Unito ha raccolto 11 miliardi di dollari dai Venture Capital, la Germania 6 miliardi, la Francia 5 miliardi, la Svezia 3 miliardi, l’Italia 744 milioni. La domanda successiva è se l’Italia, da un punto di vista fiscale e normativo, tratta peggio le start-up e il Venture Capital rispetto agli altri Paesi europei.
In realtà l’Italia offre diverse agevolazioni fiscali per sostenere le imprese innovative e gli investitori nel settore delle start-up. Per esempio un credito d’imposta copre fino al 50% delle spese in ricerca e sviluppo, con un massimo di 20 milioni per impresa. Le start-up registrate come innovative possono beneficiare di esenzioni dall’imposta di bollo e dai diritti di segreteria per l’iscrizione nel registro delle imprese, oltre a un’agevolazione fiscale per i primi cinque anni di attività. Ci sono poi incentivi per investimenti in capitale di rischio: gli investitori che apportano capitale a start-up innovative possono beneficiare di una deduzione del 30% dall’imposta lorda, fino a un massimo di 1 milione per le persone fisiche e 1,8 milioni per le persone giuridiche. Oltre agli incentivi fiscali, l’Italia ha introdotto diverse misure per semplificare la costituzione e la gestione delle start-up, come Italia Start-up Visa.
Oppure Smart&Start Italia, un incentivo gestito da Invitalia che offre finanziamenti agevolati per start-up innovative con spese ammissibili tra 100.000 e 1,5 milioni di euro.
LO SCENARIO
A chiedere di migliorare le norme è Cristina Angelillo, presidente di InnovUp. «Come InnovUp», spiega, «abbiamo proposto al Ministero delle Imprese e del Made in Italy alcune misure che, nell’ambito dello sviluppo di uno Start-up Act 2.0, rappresentano un passo significativo verso la creazione di un ambiente favorevole al consolidamento della filiera italiana dell’innovazione. La principale sfida per le start-up italiane», prosegue Angelillo, «è la raccolta di capitale: è fondamentale, quindi, attrarre più capitali e investimenti stranieri. Riteniamo che siano necessari incentivi per attrarre capitali tanto dai fondi pensione e dalle casse di previdenza – al fine di coinvolgere investitori istituzionali che fino ad oggi hanno mostrato di dare poco spazio ai venture capital nelle loro strategie – quanto dalle grandi corporate, che attraverso forme di ricerca e sviluppo esternalizzata possano promuovere il fenomeno dell’open innovation. Essenziali, inoltre, misure come il reddito di imprenditorialità, già implementato in Francia, ovvero un incentivo che aiuti chi vive la transizione da un lavoro dipendente a quello dell’imprenditore, e misure volte ad aggiornare la tassonomia degli incubatori certificati – ampliando la platea ad acceleratori, start-up studio, venture builder, ecc. – attualizzandone i requisiti e i vantaggi connessi a questa fattispecie; ma anche l’introduzione di deduzioni sulle perdite, come avviene in Inghilterra con l’EIS Scheme, e la necessità che gli attuali incentivi fiscali non vengano meno in caso di fallimento della start-up».
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