Per i dipendenti pubblici ormai è l’unico modo rimasto per poter avere in tempi rapidi almeno un anticipo sulla loro liquidazione, che il gergo tecnico si chiama Tfs, trattamento di fine servizio. E per tenere aperta quest’ultima strada,il governo e l’Abi, l’associazione bancaria, hanno accelerato le trattative per rinnovare per la seconda volta, l’accordo quadro sottoscritto nel 2020. In settima si è tenuto un primo tavolo tecnico tra il ministero della funzione pubblica, quello del lavoro, l’Inps e i rappresentanti delle banche. Il decreto di rinnovo è di fatto già pronto, ed è stato inviato alle amministrazioni coinvolte per il parere. Lo schema del prestito dovrebbe rimanere esattamente lo stesso L’importo massimo anticipato dalle banche ai dipendenti pubblici, sarà di 45 mila euro.
Una somma dalla quale sarà detratto immediatamente un interesse pari al “rendistato” pari alla durata dell’anticipo aumentato di uno spread dello 0,4 per cento. Per fare un esempio, a giugno di quest’anno il rendistato per una durata tra 2,7 anni e 3,6 anni, è del 3,37 per cento.
LA STRADA
Dunque gli statali che avevano bisogno dell’anticipo riuscivano a pagare interessi molto più bassi. Ma perché i dipendenti pubblici sono costretti a chiedere i soldi della liquidazione in prestito alle banche? La ragione è legata al fatto che il pagamento della liquidazione degli statali è differito nel tempo. La prima rata, per un massimo di 50 mila euro, è pagata dopo un anno. Per la seconda rata, tra i 50 e i 100 mila euro, bisogna attendere altri dodici mesi. Per la parte restante, se supera i 100 mila euro, l’attesa si prolunga per un ulteriore anno. Chi però va in pensione anticipata, magari usando lo scivolo di Quota 103 (o in passato Quota 100 o 102), prima di incassare la prima rata deve attendere il compimento dei 67 anni. L’attesa per ottenere il Tfs insomma, oscilla tra i due e i sette anni. Salvo sempre che non ci siano ritardi da parte dell’Inps nella lavorazione delle pratiche. Esattamente un anno fa, la Corte Costituzionale aveva pesantemente censurato questo modo di procedere da parte dello Stato, e aveva chiesto al Parlamento e al governo di intervenire per mettere fine al versamento ritardato della liquidazione agli statali.
IL PASSAGGIO
Finora non ce n’è stata la possibilità. La ragione è semplice. Il costo per le casse dello Stato sarebbe troppo elevato. Era stata la stessa Inps a quantificarlo in 14 miliardi di euro durante il dibattito alla Consulta. Nei mesi scorsi la Ragioneria generale dello Sato ha fermato le proposte di legge firmate da maggioranza e opposizione, che puntavano a ridurre, da un anno a tre mesi, il tempo di pagamento della prima rata del Tfs, aumentando nel contempo l’importo di questo primo versamento da 50mila fino a 63.600 euro.
Soltanto questo ritocco al regime del pagamento della liquidazione dei dipendenti pubblici, avevano calcolato i tecnici del Tesoro, sarebbe costato 3,8 miliardi. Qualche settimana fa, rispondendo ad un’interrogazione alla Camera, presentata da Valentina Barzotti dei Cinque Stelle, il sottosegretario al lavoro Claudio Durigon, ha consegnato una tabella dell’Inps con i tempi medi di pagamento del Tfs. Per le dimissioni volontarie, categoria all’interno della quale ci sono le uscite anticipate con Quota 103, il tempo medio di pagamento della prima rata è stato di 32 mesi, mentre per le uscite per raggiunti limiti di età, la media è di 17 mesi. Ma la vera sorpresa è forse quella che indica in 10 mesi di media il pagamento della liquidazione agli eredi, vedove e orfani, dei dipendenti pubblici deceduti. Per la legge dovrebbe avvenire al massimo in 105 giorni. Non proprio la stessa cosa.
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